sabato 11 dicembre 2010

L'intransigenza dei giusti

Vi guardo
io so
non pretendo, so
vi so.
Ego si fa minuscolo, entro nei vostri interstizi e assaggio
so, so sempre chi siete veramente
il privilegio del dubbio muore
la verità mi tocca con mano, non posso ignorarla e
non posso condividerla.
Come si dice un tocco?
C'è troppa luce in un'intuizione
sa di Dio
ed io non sono Dio.
Posso dire quello che so e aspettare che Lui mi restituisca la comunione
con gli altri
che tale non è mai.
Fendo aria e legami con le mie lame
silenti
non posso sottrarmi
supino distendermi e spegnere il sole.
Duro il petto
caldo il cuore
cedere alla tentazione di aprire.
Sono Dio
il giusto
il giustiziere.

sabato 4 dicembre 2010

E' solo acqua

Ascensore rotto. Ti pareva. Andiam a scalare sei piani di un palazzaccio qualunque ingrigito dalla cura che il tempo ci mette a consumare tutto. Penso solo a mettere bene un piede davanti all'altro e, presa dallo sforzo delle cosce, talmente isolo quei piccoli sforzi susseguenti, talmente mi prende l'ansimare dei polmoni che cresce nella eco caratteristica di tutte le rampe di scale, che mi perdo il mio di piano e arrivo più su, dove non ero mai stata. Forse ero semplicemente distratta, o troppo concentrata, come dico sempre io, sta di fatto che approdo forse era all'ottavo piano, o forse più su, e mi trovo un quadrato di cemento sulla testa e una finestrella alta da cui si vede un pezzo di cielo sempre grigio, ma meno grigio del palazzo. Quanto è piccola e inutile quella finestra, facevano prima a chiudere il palazzo con un bel tappo di cemento e basta. Mi fa pena e penso che a chiunque dovrebbero regalare più luce, persino ai tappi di cemento. Mi volto e comincio a scendere, stavolta ponendo attenzione, alle porte, ai tappeti, ai campanelli, per non perdermi ancora. Quando arrivo a casa si è fatta notte, me ne accorgo dal fatto che non vedo luce fuggire da sotto le porte delle camere chiuse, ma quanti gradini ho sceso?, non c'è nessuno, pare, vengo attratta da dei rumori in cucina: una pentola sul fuoco borbotta e sbuffa e ha quasi evaporato tutto il contenuto. Per fortuna è solo acqua. Possibile si sia fatta notte così in fretta? Ho lasciato la pentola con l'acqua sul fuoco? Quando? Non ricordo nulla. Banalissimi routinari momenti che si ripetono più o meno sempre uguali giorno dopo giorno mi storcono il viso in un'espressione a punto interrogativo. Vorrei parlare con qualcuno, dire tutto il mio sconcerto, ma non c'è nessuno, e non sembrava esserci mai stato. Eppure... E' solo un giorno come tanti. Entro in camera mia, forse ho solo bisogno di una doccia, mi libero dello zaino-del cappotto-della sciarpa, li lancio sul letto e in quello stesso preciso instante questi si sgretola sotto i miei occhi in un cumulo di macerie di legno, polvere, cotone, lana, piume d'oca, sporche, pezzi di cose, indefinibili, confuse. Non c'è più niente di sano, nessun armadio, nessun vestito, nessuna foto è sopravvissuta alle pareti, solo quella con la giostra illuminata e i due sconosciuti di spalle che la guardano. Guardano la giostra girare, la guardano prendere velocità fino a quando la serie di lucine non si confonde in un'unica scia luminosa e aspettano che si fermi a riposare un pò le braccia meccaniche prima di riprendere la corsa. E' tutto ciò che sopravvive qui.
Quaggiù all'inferno si invecchia, l'aria è più accesa.
L'ho fatto ancora: dimenticare. Rifiutarmi di credere.
Nessuna beata certezza.
Tra le cose che crollano, crolla la certezza del domani. Certe cose accadono sempre di notte, in quelle notti che sanno spaccare la testa e prendersi quello che vogliono, sanità, equilibrio e tutto. Tutto rallenta, i rumori si allontanano, la luna si fa più chiara, evapora, come acqua.
L'ennesima eclisse.

venerdì 26 novembre 2010

Troppa combustione

Troppa combustione
non produce che cenere.
- Produrre...Che brutto termine. Contiene tutti i fumi del progresso che non ha senso. Non ha alcun senso nella circolarità in cui giriamo e giriamo e ci rotoliamo come palle di neve sporche. -
Come quando ti metti in piedi troppo in fretta e ti gira la testa.
Contenere l'ispirazione nell'arco di una canzone. L'esercizio di un folle non si accorge di aver impostato quella colonna sonora da capo e poi ancora e ancora e non si accorge che non finisce, ma inizia, sempre, da capo. Batti le mani due volte e poi una, tam tam-tam, tam-tam-tam, tam-tam-tam.

martedì 16 novembre 2010

Circa le identificazioni

Distesa, vedo sfilare le facce, proprio come se fossero in passerella. Questi volti a grandezza naturale ondeggiano come camminassero e lanciano sguardi ammiccanti; arrivano dal soffitto, si fermano a pochi centimetri dal naso, si girano e rigirano un paio di volte e poi ciao. Sono perplessa e in imbarazzo, molte di quelle facce sono certa di conoscerle ma non saprei dare loro un nome. Senza un nome non sei nessuno. E senza qualcuno sei solo. E se sei solo sei nessuno.

Forse è per questo che cerco sempre di ricordare i nomi delle persone che incontro, quel fatidico momento in cui si dicono i nomi stringendosi le mani, io lo rallento e cerco di porre attenzione. A volte mi capita di ripetere il nome della persona nuova piuttosto che dire il mio, e faccio ridere. Sabato scorso mi sono sorpresa a ricordarne due che avevo sentito una sola volta questa estate passata, ho strizzato gli occhi fissando quei volti per pochi istanti ed eccoli comporsi dalla tastiera dei ricordi alla bocca.

Il nome è tra le cose più intime che abbiamo -dovremmo scegliere a chi donarlo e a chi no- un pò come la faccia. E' il più immediato e sintetico simbolo in cui immediatamente ci riconosciamo e insieme ci distinguamo da tutto il resto. Io sono...

Ti darò il mio nome, e come niente, per metà, già sarò tua.

martedì 26 ottobre 2010

Dormi

Ci sono cose che uno non dovrebbe mai sapere, che le orecchie non dovrebbero mai sentire. Dovrebbero smettere di recepire i suoni, o come funziona in una certa patologia che mi spiegava M. non tradurli in segni riconoscibili. Il danno è fatto e non si torna indietro. Il danno è fatto ed è stato detto, si è raddoppiato, è diventato un mostro viola con gli occhi gialli pieno di peli e col fiato corto. Le lenzuola mi hanno già stretta nella morsa notturna, ho già dovuto combatterle, ho già dovuto soffrire il freddo, ho già dovuto ucciderle e chissà quante altre volte dovrò farlo ancora. E ancora.

Vorrei solo fare la cosa giusta.
Non esiste la cosa giusta, devi stare al tuo posto, zitta.

Funzionava così, era un gioco di bambini, un gioco sporco, di quelli che non bisogna dire a nessuno.
- Non ho mai avuto paura.
- Che intenzioni hai?
- Non dirò mai niente a nessuno, sei l'unica a saperlo.

Avrei voluto non essere io, l'unica. Non ho le spalle abbastanza larghe, non ho più i muscoli di un tempo nelle cosce. Non so che dire, non sono abbastanza grande, anzi, sono proprio piccola, minuscola, insignificante. Io non esisto. Perchè? Perchè io?

I feel too young to hold on
I'm much too old to break free and run


And now I know...

Certe cose uno dovrebbe tenerle per sè.
E' giusto liberarsene per limitare i danni futuri.
E se non si facesse altro che crearne altri di danni?
Ma è piccolo e ti è legato col sangue, io mi domando perchè non te l'abbia detto prima. Prima o dopo cosa vuoi che cambi?
Io ci sto troppo dentro, ne uscirò rotta. E più di me altri. Io lo so che scoppio, io lo so.
Non sei tu la posta in gioco adesso, tu devi solo essere a disposizione, ricordi? Basta cercare un buon ritmo cardiaco... Non fare cose avventate, aspetta. Non prendere l'iniziativa. Rispetta. Silenzio. Combatti il tuo mostro notturno, sguainerò la spada per te e tu sarai me e ti sentirai forte. Dormi...

sabato 23 ottobre 2010

Un succo alla pera

Sedute al tavolino di un bar nel centro dell'unica città capace di farsi amare come fosse un dio onnipotente, guardavo retrospettivamente la mia vita e quella della mia amica dagli occhi tristi. Mi assediava di domande e, prima che io avessi il tempo di formulare delle frasi di senso più o meno compiuto, si dava le risposte che subito prontamente cancellava con il tarlo dell'incertezza o con una nuova incalzante domanda. Il succo del discorso, denso quanto quello alla pera che stavo sorseggiando accanto a stranieri che bevevano birra e ci guardavano parlare -non ho la certezza fossero stranieri, ma ho buoni motivi per crederlo- era riuscire a capire perchè nell'arco di così poco tempo sebravamo cambiate così tanto.
I: "Diventare grandi significa avere paura? Quando ero più giovane non mi fregava niente, avevo le mie idee luminose e in esse ci sguazzavo onnipotente. Degli altri avevo compassione se non potevano capire, o ne cercavo l'approvazione se ritenevo degni. Poi cosa è successo?"
T: "Non lo so. Quando ero più giovane guardavo al futuro come ad un oceano di possibilità inesplorate, e quella fame mi spingeva/spinge, non lo so, a cambiare strada, a non accontentarmi, a non prendere mai decisioni definitive, non imboccare mai una strada che sia una da studiare, approfondire, sapere, sentire mia. E questo alla lunga mi ha destabilizzata. Adesso che comincio a sentire l'esigenza di costruire qualcosa, l'icertezza mi assedia, e ho perso insieme all'entusiasmo tutta quella insensata fiducia e sicurezza in me e nel mondo."
I: "Dunque diventare grandi significa prendere delle decisioni ed assumersene la responsabilità. Significa saper reggere la noia e dover scendere a compromessi con se stessi?"
T: "Sì, qualche volta sì. Senza necessariamente tradirsi però. Significa capire con chi hai a che fare e agire di conseguenza, non per trarne il maggior profitto, ma solo semplicemente per capirsi, che è già di per sè complicatissimo."
I: "Non so se ce la faccio. Stare nella realtà non è mai stato il mio forte."
T: "Io ho già scelto. Io ho bisogno degli altri."
I: "Quanto mi manco..."
T: "Ahahah, già..."