sabato 19 febbraio 2011

L'amore dei contrari

Come mai io ci metta tanto ad affezionarmi a qualcosa di mio, non lo so. E' strano. Forse è il fatto di cambiare casa più volte che non ti fa sentire più tua nessuna casa e nessuna cosa in quella casa. Vorrei una casetta mia, dove tutto ciò che tocco è mio, dove decido io chi far entrare, e non devo preoccuparmi di salvaguardare una certa dignità al cospetto di chi non fa mai nulla in più dello strettamente dovuto. E a dirla tutta vorrei un mondo di generosi, di amatori con le mani sempre protese.
"Che a fare la buona, si diventa fessi, e gli altri se ne approfittano." Ah...mio padre...una delle persone più buone e meno calcolatrici della storia, più spontanee e profondamente umili che siano mai esistite. Un'indole semplice e pacatamente allegra, dovrà pur riconoscere un certo trapasso di geni, correggibili quanto vuoi ma sempre fino ad un certo punto...
Oggi un mio amico mi ha sottoposto un suo scritto, era uno sfogo dettato dal suo essere una persona profondamente onesta e definita nei colori che ha difficoltà a rapportarsi con la gran parte delle persone che, per sufficienza, imbarazzo, o chissachè, preferisce l'ambiguità o comunque un comportamento non lineare. E il caso vuole che tali ambigui tante volte nel suo caso appartengano ad una categoria, che sentendosi chiamare "diversi", forse abbiano cominciato a sentirsi davvero tali, facendo scudo dietro una serie di comportamenti molto facilmente riconoscibili e a dir poco comuni. Molti dai gay con cui ha provato a instaurare un rapporto, sono intermittenti, poco disponibili, curano moltissimo la propria immagine guardando dall'alto in basso il resto del mondo, sembra quasi che loro posseggano i segreti del mondo.
 E' superficie superficie tutta superficie...
Talvolta si diventa vittime (in)consapevoli delle categorie e, per non alimentarle, proprio perchè ci si sente diversi, va a finire che le si osserva alla lettera, un pò come il fatto che per resistere ad una tentazione bisogna cedere ad essa. Platone la chiama "antiperistasi": due principi di qualità opposta che si alimentano a vicenda. Esempio: d'inverno fa freddo ma le viscere sono più calde, e viceversa con l'estate. Forse fa parte del sentirsi parte di un gruppo, forse fa parte di tutto il trascorso che ti porta a riconoscere e accettare chi sei, ed entri in certi meccanismi che non ti appartengono in quanto individuo ma appartengono al gruppo di individui a cui credi di appartenere, o sentirti vicino. Certo gli stronzi hanno da sempre più appeal, mi cerchi e non mi cerchi ed io mi struggo, principio sempre verde dell'attrazione, ma qui c'è qualcosa di più...
Fare un discorso sulle categorie è sempre pericoloso. E fare un discorso sui gruppi in questa postmodernità in cui non esiste più niente in cui si possa credere insieme, in cui siamo tutti belli attorcigliati sui nostri intestini a far da mangiare ai nostri desideri, così bistrattati e denutriti, per non lasciarli morire di fame; un discorso sul senso del gruppo, il bisogno di riconoscersi in qualcun'altro, può sembrare fuoriluogo se non addirittura assurdo. Eppure c'è un principio di verità in quello che dico, e lo dico senza pretese. Un gruppo unisce e fa sentire più giusti, adeguati, specie quando all'esterno il mondo ti guarda storto o fa finta che non esisti, ma allo stesso tempo separa ancora di più da quello che non è dentro, e per essere dentro in qualche modo devi pagare il dazio di adeguarti, aderire a quei principi non scritti di riconoscimento interno. Sempre l'antiperistasi...i principi opposti che si alimentano...Ma quale principio di non contraddizione, siamo fatti di contraddizioni! Dunque lo sterotipo non vale solo per chi guarda dall'esterno, ma viene anche intimamente sposato all'interno.
Eppure lo stereotipo vale solo al livello più superficiale, per quanto uno possa incarnare l'anima di un gruppo rimane sempre fisicamente separato e diviso quindi diverso da chiunque altro, a prescindere dal fatto che sia impostato in modalità gay, o donna in carriera, o casalinga. E' solo una difficoltà in più, un muro in più da scalare per cominciare a trattarsi da esseri umani.